Speleologia dei tempi
moderni, fatta da aerei da rincorrere,discese in grotta veloci e risalite
ancora più rapide, spostamenti continui e poco altro tempo per mangiare o
dormire.
Cosi lo avevamo pensato
questo trip, anzi cosi lo aveva pensato per noi Stefano, esploratore Triestino
del Gruppo Grotta Continua Trieste, con il quale ho già condiviso una intensa
esperienza tra le montagne del Sud dell’Uzbekistan lo scorso anno.
Proprio laggiù Stefano mi
raccontava delle esplorazioni in Canin, del baratro scoperto di recente nel bel
mezzo di un nevaio a 2200 mt di quota: l’Abisso Firn.
Profondo attualmente circa
715 mt, al suo interno cela il più profondo pozzo Italiano:il mostruoso Pozzo
Fabio Scabar, 500 mt di pura verticalità.
Una grotta dal potenziale
che si aggira intorno ai 1600 mt, la cui esplorazione viene resa delicata e
complessa dalle condizioni ambientali che la interessano per buona parte
dell’anno.
Praticamente il posto
perfetto per noi “Speleo di pianura”, abituati alle nostre grotte tropicali, il
solo Pozzo Scabar è profondo quasi il doppio delle maggiori cavità verticali
Siciliane.
Oltretutto abbiamo passato
gli ultimi mesi a strisciare in posti indecenti, ciò che per gli altri è
condottina per noi è galleria.
E allora ci ritroviamo in
due: il sottoscritto e il giovanissimo Marcuccio, troppo facile farlo invaghire
di Canin, malato com’è.
Ci troviamo con Stefano a
Villanova, destinazione Sella Nevea.
Saliamo in funivia, man
mano scorrono gli ingressi uno dopo l’altro: Gortani, Sisma, una densità
incomprensibile per noi.
Si arriva al rifugio
Gilberti, circondati dal massiccio. Mi faccio sorprendere dalla bellezza della
montagna, non me l’aspettavo cosi bella, adesso so cos’è il Carsismo.
Stefano ci indica tantissimi
altri ingressi, compreso quello dell’Abisso Boegan, uno dei primi esplorati
quassù.
Aumenta la pendenza della
salita e aumentano i nevai, ma finalmente ci siamo, eccoci al Firn.
Seguiamo Stefano che arma
i primi 90 mt di verticale, a -60 circa siamo già zuppi, il nevaio è ancora in
scioglimento e su alcuni frazionamenti
la tirano giù a secchiate.
A -350 scoliamo tutti e
tre pure dal naso, la temperatura percepita sarà intorno allo zero, o forse
peggio.
Poco più in basso non è
bruttissimo, ma ne abbiamo presa parecchia di acqua.
Torniamo su rapidamente,
accorciamo giù per i nevai, quando gli zaini si trasformano in pericolosi Bob
inizio a pensare di dover cancellare un numero di telefono: quello di Stefano
Giusto.
Serie di birre in compagnia dei simpaticissimi gestori e poi sottotetto speleo.
Serie di birre in compagnia dei simpaticissimi gestori e poi sottotetto speleo.
L’indomani optiamo per il
carso Sloveno, Abisso dei Serpenti, sentiremo rombare il Timavo sotterraneo.
Passiamo da Roberto per
salutarlo e prendere le corde, poco dopo siamo all’ingresso dell’Abisso, un
maestoso pozzo da 180 metri che può essere sceso da due verticali: dalle
vertiginose libere con soli due
frazionamenti e tutte nel vuoto, oppure dalla via dei Grottenarbeiter, le cui
opere ancora visibili ci fanno riflettere sul valore di questi mitici
lavoratori delle grotte.
Essendo quest’ultima già
armata, scendiamo per le libere.
Giunti alla base, dei veri
e propri Hangar sotterranei si susseguono uno dopo l’altro, gallerie enormi
intervallate da brevi saltini e traversi su laghetti concrezionati.
Dopo quasi 2 km di
gallerie e dopo aver sceso gli ultimi pozzi, iniziamo a sentirlo: il fiume
sotterraneo per eccellenza, sua maestà il Timavo.
Ci godiamo lo spettacolo
immaginando i primi esploratori intenti ad assemblare le loro imbarcazioni e
calarsi giù per le rapide.
Torniamo su sfruttando
anche la seconda campata armata probabilmente dagli Sloveni per campi
imminenti. La salita è scorrevole e in breve brindiamo alzando l’ennesimo
boccale.
Dopo aver scroccato un
divano dal compare Triestino torniamo in Slovenia la mattina seguente, visita
alle Grotte di San Canziano, là dove il Timavo si inabissa.
Altre corse impreviste e
percorsi alternativi, in puro stile speleo.
Accompagniamo Stefano a
casa, di meglio non potevamo avere da queste 60 ore tra Canin e Carso classico.
Scena già vissuta anche
questa, ovvero forte abbraccio col compare Triestino, ma ce ne saranno altre e
chissà dove.
Un profondissimo grazie a
Giusto e tutti gli speleologi del Gruppo Grotta Continua di Trieste, tanto di
cappello a loro e a tutti gli esploratori che lavorano in questa università
dell’attività speleologica che è il Monte Canin: complimenti e buon lavoro.