lunedì 19 agosto 2013

60 intense ore tra Canin e Carso Sloveno

 
Speleologia dei tempi moderni, fatta da aerei da rincorrere,discese in grotta veloci e risalite ancora più rapide, spostamenti continui e poco altro tempo per mangiare o dormire.
Cosi lo avevamo pensato questo trip, anzi cosi lo aveva pensato per noi Stefano, esploratore Triestino del Gruppo Grotta Continua Trieste, con il quale ho già condiviso una intensa esperienza tra le montagne del Sud dell’Uzbekistan lo scorso anno.
Proprio laggiù Stefano mi raccontava delle esplorazioni in Canin, del baratro scoperto di recente nel bel mezzo di un nevaio a 2200 mt di quota: l’Abisso Firn.
Profondo attualmente circa 715 mt, al suo interno cela il più profondo pozzo Italiano:il mostruoso Pozzo Fabio Scabar, 500 mt di pura verticalità.
Una grotta dal potenziale che si aggira intorno ai 1600 mt, la cui esplorazione viene resa delicata e complessa dalle condizioni ambientali che la interessano per buona parte dell’anno.


 




 
Praticamente il posto perfetto per noi “Speleo di pianura”, abituati alle nostre grotte tropicali, il solo Pozzo Scabar è profondo quasi il doppio delle maggiori cavità verticali Siciliane.
Oltretutto abbiamo passato gli ultimi mesi a strisciare in posti indecenti, ciò che per gli altri è condottina per noi è galleria.
E allora ci ritroviamo in due: il sottoscritto e il giovanissimo Marcuccio, troppo facile farlo invaghire di Canin, malato com’è.
Ci troviamo con Stefano a Villanova, destinazione Sella Nevea.
Saliamo in funivia, man mano scorrono gli ingressi uno dopo l’altro: Gortani, Sisma, una densità incomprensibile per noi.
Si arriva al rifugio Gilberti, circondati dal massiccio. Mi faccio sorprendere dalla bellezza della montagna, non me l’aspettavo cosi bella, adesso so cos’è il Carsismo.
Stefano ci indica tantissimi altri ingressi, compreso quello dell’Abisso Boegan, uno dei primi esplorati quassù.
Aumenta la pendenza della salita e aumentano i nevai, ma finalmente ci siamo, eccoci al Firn.



 
Seguiamo Stefano che arma i primi 90 mt di verticale, a -60 circa siamo già zuppi, il nevaio è ancora in scioglimento  e su alcuni frazionamenti la tirano giù a secchiate.
A -350 scoliamo tutti e tre pure dal naso, la temperatura percepita sarà intorno allo zero, o forse peggio.
Poco più in basso non è bruttissimo, ma ne abbiamo presa parecchia di acqua.
Torniamo su rapidamente, accorciamo giù per i nevai, quando gli zaini si trasformano in pericolosi Bob inizio a pensare di dover cancellare un numero di telefono: quello di Stefano Giusto.
Serie di birre in compagnia dei simpaticissimi gestori e poi sottotetto speleo.






 
L’indomani optiamo per il carso Sloveno, Abisso dei Serpenti, sentiremo rombare il Timavo sotterraneo.
Passiamo da Roberto per salutarlo e prendere le corde, poco dopo siamo all’ingresso dell’Abisso, un maestoso pozzo da 180 metri che può essere sceso da due verticali: dalle vertiginose  libere con soli due frazionamenti e tutte nel vuoto, oppure dalla via dei Grottenarbeiter, le cui opere ancora visibili ci fanno riflettere sul valore di questi mitici lavoratori delle grotte.
Essendo quest’ultima già armata, scendiamo per le libere.
Giunti alla base, dei veri e propri Hangar sotterranei si susseguono uno dopo l’altro, gallerie enormi intervallate da brevi saltini e traversi su laghetti concrezionati.
Dopo quasi 2 km di gallerie e dopo aver sceso gli ultimi pozzi, iniziamo a sentirlo: il fiume sotterraneo per eccellenza, sua maestà il Timavo.
Ci godiamo lo spettacolo immaginando i primi esploratori intenti ad assemblare le loro imbarcazioni e calarsi giù per le rapide.
Torniamo su sfruttando anche la seconda campata armata probabilmente dagli Sloveni per campi imminenti. La salita è scorrevole e in breve brindiamo alzando l’ennesimo boccale.




 
Dopo aver scroccato un divano dal compare Triestino torniamo in Slovenia la mattina seguente, visita alle Grotte di San Canziano, là dove il Timavo si inabissa.
Altre corse impreviste e percorsi alternativi, in puro stile speleo.
Accompagniamo Stefano a casa, di meglio non potevamo avere da queste 60 ore tra Canin e Carso classico.
Scena già vissuta anche questa, ovvero forte abbraccio col compare Triestino, ma ce ne saranno altre e chissà dove.
Un profondissimo grazie a Giusto e tutti gli speleologi del Gruppo Grotta Continua di Trieste, tanto di cappello a loro e a tutti gli esploratori che lavorano in questa università dell’attività speleologica che è il Monte Canin: complimenti e buon lavoro.